Premessa
In tema di determinazione del reddito di impresa, la disciplina di cui all’art. 110, comma 7, del d.P.R. n. 917 del 1986, è finalizzata alla repressione del fenomeno economico del “transfer pricing”, cioè dello spostamento dell’imponibile fiscale in seguito ad operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti (cross-border).
Pertanto, la disciplina del transfer pricing ha l’obbiettivo di verificare se le operazioni infragruppo siano poste in essere rispettando il principio di libera concorrenza (c.d. arm’s length principle), in modo tale che sussista corrispondenza tra il prezzo praticato nelle operazioni commerciali tra imprese associate e quello che sarebbe pattuito tra imprese indipendenti, in condizioni similari, sul libero mercato.
La sentenza
Con la sentenza n. 26432 del 10 ottobre 2024, la Corte di Cassazione si è espressa sulla rilevanza delle raccomandazioni dell’OCSE in tema di transfer pricing, con specifico riferimento alla scelta del metodo TNMM (Transactional Net Margin Method) in luogo del metodo CUP (Comparable Uncontrolled Price).
Il caso riguarda una società italiana produttrice di macchinari per l’imballaggio e appartenente a un gruppo multinazionale. La società opera come unico produttore del gruppo, mentre le restanti società estere si occupano della distribuzione e della commercializzazione dei prodotti nei rispettivi mercati di competenza. Tale inquadramento funzionale della società italiana sarà di fondamentale importanza per comprendere la ratio della decisione espressa dalla Suprema Corte.
La verifica subita dalla società riguardava il periodo d’imposta 2008. L’Agenzia delle Entrate aveva utilizzato il TNMM in luogo del CUP al fine di individuare il valore “normale” dei prezzi di trasferimento adottati. Da tale differenza nascono le contestazioni difensive della società. In particolare, la società contestava l’uso del metodo TNMM da parte dell’Ufficio, considerandolo “gerarchicamente” inferiore e, pertanto, meno preferibile rispetto al metodo CUP. Tale interpretazione delle Linee Guida OCSE è stata disconosciuta dai giudici di legittimità, i quali hanno affermato il principio di diritto secondo il quale le raccomandazioni OCSE costituiscono un valido strumento di ausilio nella determinazione dei prezzi di trasferimento, in quanto non si inseriscono nella gerarchia delle fonti normative.
Inoltre, nella fattispecie in esame, la Corte ha ritenuto corretta la scelta da parte dell’Ufficio di escludere il metodo del CUP, in quanto la società italiana, operando come unico produttore del gruppo, ha un profilo funzionale a basso rischio, con alea ridotta grazie all’unicità del centro di produzione, che opera sostanzialmente su ordini già confermati. Non trattandosi di un mercato aperto con prezzi non controllabili, il margine di guadagno (e quindi il metodo TNMM) risulta essere il criterio più indicativo rispetto a un prezzo che non è frutto di libero mercato. Per tali motivi, la Suprema Corte ha respinto il ricorso presentato dalla società.
Riflessioni
La sentenza appena esposta presenta alcuni interessanti spunti di riflessione. Anzitutto, la posizione della Suprema Corte sembra essere in linea con quanto previsto dal Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 14 maggio 2018 contenente le linee guida per l’applicazione delle disposizioni in materia di prezzi di trasferimento. Nello specifico, l’articolo 4 del decreto, dopo aver elencato al comma 2 i metodi per la determinazione dei prezzi di trasferimento conformi al principio di libera concorrenza, al comma 3 chiarisce che: “Se, […], può essere applicato con uguale grado di affidabilità un metodo descritto dalle lettere da a) a c) del comma 2, e un metodo descritto dalle successive lettere d) ed e), il metodo descritto dalle citate lettere da a) a c) è preferibile”. In altre parole, se le circostanze comportano un uguale grado di affidabilità tra i metodi del CUP (lettera a) e TNMM (lettera d), il decreto prevede espressamente che il CUP sia quello preferibile. Sul punto, la sentenza spiega chiaramente che una possibile “preferenza” o “gerarchia” dei metodi deve essere fissata direttamente dal Legislatore: “Non è revocato in dubbio che le raccomandazioni Ocse fuoriescano dalla gerarchia delle fonti. […]. La loro stessa natura, quindi, ne esclude un sistema di primogenitura, salvo i casi in cui la preferenza viene espressamente fissata in forma normativa, che è però operata direttamente dal legislatore, mai dall’Ocse”. Per sua natura, il D.M. 14 maggio 2018, ponendo norme tecniche di dettaglio su uno specifico argomento, costituisce quindi una fonte del diritto autonoma e secondaria.
Altro punto di riflessione deriva dal fatto che, anche nell’ipotesi in cui i giudici avessero considerato il D.M., la scelta della ricorrente di applicare un CUP sarebbe apparsa comunque errata. Come già detto, la società ricorrente opera come produttore su commessa (i.e. contract manufacturing), avendo quindi delle funzioni, rischi ed assets a basso rischio. In tali circostanze, difficilmente si è in grado di applicare un CUP nella sua variante interna, ed è più appropriato testare il margine di guadagno rispetto al prezzo praticato.
Infine, occorre precisare che la sentenza cita più volte il “valore normale” dei prezzi di trasferimento ai sensi dell’art. 110, comma 7 del TUIR. Attualmente tale riferimento è ormai superato dal nuovo comma 7 dell’art. 110, così come modificato dall’articolo 59 del Dl 50/2017, che ha introdotto il concetto di principio di “libera concorrenza” (cd. “arm’s length principle”) allineandosi così all’articolo 9 del modello di convenzione contro le doppie imposizioni e alle linee guida sui prezzi di trasferimento dell’Ocse. Lo stesso D.M. 14 maggio 2018, all’art. 6 comma 1, prevede che si considera conforme al principio di libera concorrenza l’intervallo di valori risultante dall’indicatore finanziario selezionato in applicazione del metodo più appropriato.
0 commenti